Come difendere le spiagge naturiste
Il 2000 segna una svolta storica nel naturismo italiano, anche se, come avviene spesso anche nella Storia con la S maiuscola, molti di noi non se ne sono resi conto fino in fondo. Il 2000 è infatti l'anno della sentenza della Cassazione che consente ai naturisti di spogliarsi nei luoghi da loro abitualmente frequentati, ed èanche l'anno della prima spiaggia ufficialmente naturista, quella concessa dal Comune di Roma sul litorale di Capocotta.
Questi due avvenimenti hanno fatto uscire, con tutti i timbri della legalità, il naturismo dalle sue storiche roccaforti dei campeggi privati, e lo hanno avvicinato al naturismo europeo, ma hanno anche creato un mare di problemi ai naturisti ed alle loro organizzazioni. Il primo ed il più importante di tutti è come difendere e mantenere lo spazio aperto così faticosamente conquistato.
Perché se in un campeggio si possono stabilire delle regole, e farle anche rispettare con una certa facilità, le spiagge sono per definizione spazi aperti la pubblico, ed è incompatibile con la normativa vigente, e forse persino incostituzionale, l'idea di riservare esclusivamente ai naturisti parti del demanio pubblico. E così accade che in alcune spiagge, sia legalizzate che tollerate, troviamo tessili e nudisti che considerano queste aree come una sorta di zona franca per attività normalmente illegali.
Questa situazione crea un circolo vizioso, che tiene lontani da quelle spiagge naturiste moltissimi naturisti -veri-, spaventati da comportamenti fastidiosi, e questo spopola quelle stesse spiagge che finiscono per essere abbandonate ai tessili.
La risposta più efficace che per ora siamo stati in grado di dare, è quella del presidio organizzato da parte di gruppi di naturisti, coordinati dalle associazioni, che occupano le spiagge in modo visibile, magari innalzando bandiere e piazzando cartelli, ma soprattutto creando un nucleo ben definito attorno al quale i naturisti si sentano in qualche modo garantiti, e che funzioni da deterrente per i malintenzionati.
Questo avviene in modo sistematico al Nido dell'Aquila (LI), al torrente Diaterna (FI), ed in modo più discontinuo ad Alberese (GR) ed a Guvano (SP). Parlo naturalmente solo delle realtà che conosco direttamente, so per certo che ci sono in giro per l'Italia altre situazioni similari. Dobbiamo tutti quanti impegnarci perché il presidio delle spiagge e delle aree demaniali naturiste diventi una priorità per tutte le associazioni, senza spaventarci se ci troviamo di fronte a situazioni anche difficili, considerando che mai come in questo caso è proprio vero che -ogni lasciata è persa.
Ma questo alla lunga non basta, perché in definitiva, anche nella migliore delle ipotesi, sarebbero comunque troppo poche le spiagge -pacificate-, considerate le forze su cui il naturismo organizzato può contare.
Credo che si debba cominciare a pensare, se vogliamo davvero uscire dalla situazione di assoluta marginalità del naturismo italiano, a moltiplicare in prospettiva il modello Pizzo Greco, con un campeggio o un residence naturista che presidia e garantisce una frequentazione adeguata e continua delle spiagge conquistate. Che è poi quello che già avviene in Francia, così come in Spagna ed in Croazia, per citare solo i paesi più vicini a noi.
Perché se in un campeggio si possono stabilire delle regole, e farle anche rispettare con una certa facilità, le spiagge sono per definizione spazi aperti la pubblico, ed è incompatibile con la normativa vigente, e forse persino incostituzionale, l'idea di riservare esclusivamente ai naturisti parti del demanio pubblico. E così accade che in alcune spiagge, sia legalizzate che tollerate, troviamo tessili e nudisti che considerano queste aree come una sorta di zona franca per attività normalmente illegali.
Questa situazione crea un circolo vizioso, che tiene lontani da quelle spiagge naturiste moltissimi naturisti -veri-, spaventati da comportamenti fastidiosi, e questo spopola quelle stesse spiagge che finiscono per essere abbandonate ai tessili.
La risposta più efficace che per ora siamo stati in grado di dare, è quella del presidio organizzato da parte di gruppi di naturisti, coordinati dalle associazioni, che occupano le spiagge in modo visibile, magari innalzando bandiere e piazzando cartelli, ma soprattutto creando un nucleo ben definito attorno al quale i naturisti si sentano in qualche modo garantiti, e che funzioni da deterrente per i malintenzionati.
Questo avviene in modo sistematico al Nido dell'Aquila (LI), al torrente Diaterna (FI), ed in modo più discontinuo ad Alberese (GR) ed a Guvano (SP). Parlo naturalmente solo delle realtà che conosco direttamente, so per certo che ci sono in giro per l'Italia altre situazioni similari. Dobbiamo tutti quanti impegnarci perché il presidio delle spiagge e delle aree demaniali naturiste diventi una priorità per tutte le associazioni, senza spaventarci se ci troviamo di fronte a situazioni anche difficili, considerando che mai come in questo caso è proprio vero che -ogni lasciata è persa.
Ma questo alla lunga non basta, perché in definitiva, anche nella migliore delle ipotesi, sarebbero comunque troppo poche le spiagge -pacificate-, considerate le forze su cui il naturismo organizzato può contare.
Credo che si debba cominciare a pensare, se vogliamo davvero uscire dalla situazione di assoluta marginalità del naturismo italiano, a moltiplicare in prospettiva il modello Pizzo Greco, con un campeggio o un residence naturista che presidia e garantisce una frequentazione adeguata e continua delle spiagge conquistate. Che è poi quello che già avviene in Francia, così come in Spagna ed in Croazia, per citare solo i paesi più vicini a noi.