Sotto la pelle
Essendo donna sono più incline a sfogliare le riviste femminili o comunque a leggere articoli che parlano della bellezza del corpo. In uno di questi articoli, la psicoanalista Alessandra Lemma (autrice del libro “ Sotto la pelle. Psicoanalisi e modificazioni corporee” ) parlava della “dittatura della bellezza” che condiziona la vita di tante, troppe donne. Esagerare con il trucco, con le cure di bellezza e gli interventi di chirurgia estetica sono il sintomo che una donna non riesce ad affrontare ciò che ha dentro e i cambiamenti che il corpo subisce con il semplice trascorrere del tempo.
Ebbene, il naturismo, che dell’esposizione corporea non mediata da barriere di vario tipo (una delle quali è il vestito) ne ha fatto la sua bandiera, non può esimersi dall’intervenire ulteriormente sul problema del corpo e delle sue modificazioni.
Per capire qualcosa di noi, dice la Lemma, studiosa di immagine corporea e delle sue derive estreme, è importante osservare la nostra pelle, se l’abbiamo lasciata nello stato in cui madre natura ce l’ ha data o se siamo intervenuti su di essa, perché questa “pellicola sottile e densa”che ci riveste e ci protegge, è piena di punti interrogativi che hanno a che fare con il nostro inconscio. Innanzitutto, quando nasciamo la mamma e il papà toccano il bambino, lo sfiorano, lo accarezzano, e tanti sentimenti non espressi verbalmente passano attraverso il contatto cutaneo.
La pelle è quindi il primo contatto, non solo con il corpo della madre, ma con il mondo. Si potrebbe dire che all’ inizio “sentiamo” quasi esclusivamente con la nostra pelle. E questa è la prima stazione del nostro viaggio nella vita.
Ma poi, con lo svilupparsi della vista, un altro tipo di contatto, quello visivo con la nostra pelle e quella degli altri rappresenta come una sorta di esame. Per tutta la vita, attraverso la pelle, vediamo gli altri e siamo oggetto dello sguardo degli altri. Non si può fuggire né al loro occhio né al nostro.
E il nostro occhio, nei confronti del nostro corpo, è il giudice più severo: guardando e guardandoci comprendiamo che tutti ne abitiamo uno e che da esso non possiamo uscirne. Il corpo ci dà libertà, ma può anche farci sentire prigionieri. Non accettare il proprio corpo rende temibile lo sguardo degli altri, da qui la necessità di migliorarlo o di modificarlo fino alle estreme conseguenze. Modificare il proprio corpo crea l’ illusione di sentirci “meglio” .
Ben vengano le cure di bellezza, ma è sbagliato arrivare a derive estreme con la chirurgia plastica, o altre pratiche, anche perché ciò dimostra che si è preda di un senso di onnipotenza: come se sulla nostra pelle si potesse intervenire all’ infinito. E’ ovvio che così facendo c’ è il pericolo di sconfinare nella patologia, precisando nel contempo che questo non vuole essere un giudizio, né operare alcuna censura o entrare nel merito di scelte personali.
C‘è da dire purtroppo, a causa della dittatura della bellezza (che porta donne anche anziane a coprire le rughe con un trucco pesante o ad usare il botulino a addirittura a intervenire chirurgicamente), oltre a manifestare la non accettazione di sé, con le modificazioni corporee l’ individuo tenta di esorcizzare la morte. Invece il corpo ci ricorda irrimediabilmente che si muore, dopo essere decaduto progressivamente con l’ avanzare dell’ età.
Tutto questo per la psicanalisi si identifica con la depressione, la quale deriva solitamente da due motivazioni: una, il depresso è incapace di affrontare le difficoltà della vita; due, il depresso è una persona incapace di accettare la parabola discendente della propria vita.
La chirurgia plastica o altre pratiche portate a livelli estremi, non solo rappresentano la non accettazione di sé, ma evidenziano anche l’ insopprimibile bisogno di ricreare il proprio corpo, cosa questa, che secondo una certa scuola rivelerebbe addirittura esperienze traumatiche pregresse. Insomma, il bisogno di cambiare, secondo le ricerche della psicologia, ci dice che i primi giudizi su di noi si formano nella mente degli altri in una manciata di secondi e sono basati sul fisico.
Di conseguenza noi tendiamo a creare una realtà corporea che rivela ciò che non diciamo a parole. Possiamo cambiare quanto vogliamo, ma sfuggire a ciò che siamo è impossibile. Non trattiamo il nostro corpo come un oggetto, non sfiguriamo la nostra pelle per esprimere ciò che siamo, ciò che sentiamo.
Basta l’ esposizione del nostro corpo nudo per farlo. La pelle, non dobbiamo dimenticarcelo mai, è il vestito che la natura ha dato all’ uomo per poter vivere nell’ ambiente, per difenderci dalla malattie, per rendere gradevole il nostro corpo.
La vestizione abituale e coatta ha modificato il rapporto dell’ individuo con il proprio corpo, ha fatto perdere alla pelle quella che i dermatologi definiscono “ tattilità ambientale”.
Per questo motivo il naturismo ritiene che l’epidermide, quando ciò sia possibile, “debba essere sottratta alla tutela sostitutiva del tessuto” , il cui errato uso o abuso ne diminuiscono le capacità di difesa.
Non è un caso, infatti, che il naturismo limiti l’ausilio del vestito a determinati situazioni e condizioni, al di là delle quali esso risulta non soltanto inutile, ma addirittura dannoso. Secondo i medici la pelle soffocata dal tessuto pare abbia subito un processo degenerativo che ha fatto sorgere tutta una serie di patologie strettamente dermatologiche.
Ben venga la nudità naturista, soprattutto se questa, al di là delle sue positive implicazioni di lotta al tabù del nudo, può contribuire a migliorare la nostra salute e, alla fine, la qualità della nostra vita.
Per capire qualcosa di noi, dice la Lemma, studiosa di immagine corporea e delle sue derive estreme, è importante osservare la nostra pelle, se l’abbiamo lasciata nello stato in cui madre natura ce l’ ha data o se siamo intervenuti su di essa, perché questa “pellicola sottile e densa”che ci riveste e ci protegge, è piena di punti interrogativi che hanno a che fare con il nostro inconscio. Innanzitutto, quando nasciamo la mamma e il papà toccano il bambino, lo sfiorano, lo accarezzano, e tanti sentimenti non espressi verbalmente passano attraverso il contatto cutaneo.
La pelle è quindi il primo contatto, non solo con il corpo della madre, ma con il mondo. Si potrebbe dire che all’ inizio “sentiamo” quasi esclusivamente con la nostra pelle. E questa è la prima stazione del nostro viaggio nella vita.
Ma poi, con lo svilupparsi della vista, un altro tipo di contatto, quello visivo con la nostra pelle e quella degli altri rappresenta come una sorta di esame. Per tutta la vita, attraverso la pelle, vediamo gli altri e siamo oggetto dello sguardo degli altri. Non si può fuggire né al loro occhio né al nostro.
E il nostro occhio, nei confronti del nostro corpo, è il giudice più severo: guardando e guardandoci comprendiamo che tutti ne abitiamo uno e che da esso non possiamo uscirne. Il corpo ci dà libertà, ma può anche farci sentire prigionieri. Non accettare il proprio corpo rende temibile lo sguardo degli altri, da qui la necessità di migliorarlo o di modificarlo fino alle estreme conseguenze. Modificare il proprio corpo crea l’ illusione di sentirci “meglio” .
Ben vengano le cure di bellezza, ma è sbagliato arrivare a derive estreme con la chirurgia plastica, o altre pratiche, anche perché ciò dimostra che si è preda di un senso di onnipotenza: come se sulla nostra pelle si potesse intervenire all’ infinito. E’ ovvio che così facendo c’ è il pericolo di sconfinare nella patologia, precisando nel contempo che questo non vuole essere un giudizio, né operare alcuna censura o entrare nel merito di scelte personali.
C‘è da dire purtroppo, a causa della dittatura della bellezza (che porta donne anche anziane a coprire le rughe con un trucco pesante o ad usare il botulino a addirittura a intervenire chirurgicamente), oltre a manifestare la non accettazione di sé, con le modificazioni corporee l’ individuo tenta di esorcizzare la morte. Invece il corpo ci ricorda irrimediabilmente che si muore, dopo essere decaduto progressivamente con l’ avanzare dell’ età.
Tutto questo per la psicanalisi si identifica con la depressione, la quale deriva solitamente da due motivazioni: una, il depresso è incapace di affrontare le difficoltà della vita; due, il depresso è una persona incapace di accettare la parabola discendente della propria vita.
La chirurgia plastica o altre pratiche portate a livelli estremi, non solo rappresentano la non accettazione di sé, ma evidenziano anche l’ insopprimibile bisogno di ricreare il proprio corpo, cosa questa, che secondo una certa scuola rivelerebbe addirittura esperienze traumatiche pregresse. Insomma, il bisogno di cambiare, secondo le ricerche della psicologia, ci dice che i primi giudizi su di noi si formano nella mente degli altri in una manciata di secondi e sono basati sul fisico.
Di conseguenza noi tendiamo a creare una realtà corporea che rivela ciò che non diciamo a parole. Possiamo cambiare quanto vogliamo, ma sfuggire a ciò che siamo è impossibile. Non trattiamo il nostro corpo come un oggetto, non sfiguriamo la nostra pelle per esprimere ciò che siamo, ciò che sentiamo.
Basta l’ esposizione del nostro corpo nudo per farlo. La pelle, non dobbiamo dimenticarcelo mai, è il vestito che la natura ha dato all’ uomo per poter vivere nell’ ambiente, per difenderci dalla malattie, per rendere gradevole il nostro corpo.
La vestizione abituale e coatta ha modificato il rapporto dell’ individuo con il proprio corpo, ha fatto perdere alla pelle quella che i dermatologi definiscono “ tattilità ambientale”.
Per questo motivo il naturismo ritiene che l’epidermide, quando ciò sia possibile, “debba essere sottratta alla tutela sostitutiva del tessuto” , il cui errato uso o abuso ne diminuiscono le capacità di difesa.
Non è un caso, infatti, che il naturismo limiti l’ausilio del vestito a determinati situazioni e condizioni, al di là delle quali esso risulta non soltanto inutile, ma addirittura dannoso. Secondo i medici la pelle soffocata dal tessuto pare abbia subito un processo degenerativo che ha fatto sorgere tutta una serie di patologie strettamente dermatologiche.
Ben venga la nudità naturista, soprattutto se questa, al di là delle sue positive implicazioni di lotta al tabù del nudo, può contribuire a migliorare la nostra salute e, alla fine, la qualità della nostra vita.