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Olisticamente naturisti - Autore: Giorgio Finzi

Abbiamo letto il libro di Giorgio Finzi sulla “Storia della via bolognese al naturismo” dal titolo “Olisticamente naturisti”. Ora, premettendo che l’olismo ha diversi significati, nel volume in questione assume quello di teoria biologica secondo la quale l’organismo deve essere considerato nella sua totalità e completezza e non come somma di organi che non hanno connessione.
Ebbene, intitolando il libro in questo modo è chiara l’intenzione dell’autore di definire il nudismo come parte di un progetto globale (il naturismo) che comprende la salvaguardia della natura, il rispetto dell’ambiente, la lotta all’inquinamento, la salute psico-fisica umana (dieta vegetariana, no fumo, no alcol, ecc.).
Tutto questo va bene, anche perché il naturismo è per definizione ecologista, facciamo soltanto rilevare, per onor di cronaca, che il naturismo è nato come nudismo, il cui nome è stato cambiato in un primo tempo con il termine “gimnosofia” e in un secondo tempo con l’attuale termine di “naturismo”, e ciò per evitare l’impatto negativo che la parola “nudismo” aveva su una società ancora fortemente tabuizzato nei confronti della nudità.
E questo lo diciamo pur sapendo come ai primordi, in Germania (a metà dell’Ottocento) e in Italia a partire da primi del Novecento (nel 1912 con Bruno Zuculin in quel di Trieste), già allora il nudismo fosse associato a pratiche salutistiche a cui poi, con Lamberto Paoletti (nel 1933), con il suo meraviglioso libro “Naturismo: Arte del Vivere”, si dovevano aggiungere tutte le istanze di cui s’è detto.
Diciamo che mentre per il naturismo tutto il discorso ecologico è consequenziale, nel libro s’intende esattamente l’opposto: il nudismo, che è partito contemporaneamente all’eliminazione del tabù del nudo e per la ricerca di un modo di vivere migliore e più sano nel pieno rispetto della natura, con la definizione di “olisticamente naturisti” sembra che la nudità sia consequenziale a un discorso più propriamente naturalistico.
Inoltre, dopo una breve disanima delle origini del naturismo in Emilia-Romagna, un po’ di storia dell’evoluzione del movimento naturista in quella regione e digressioni di vario tipo (come la rievocazione dell’eccidio di Marzabotto), il Finzi si dilunga a parlare di tutta una serie di altre cose, come la caccia, l’aborto, i diritti civili, il fumo, le droghe, l’omosessualità, l’alimentazione, ecc., tanto che l’ANB. (l’allora Associazione Naturista Bolognese) finì per suscitare critiche anche da parte di alcuni esponenti di altre associazioni naturiste.
E questo, occorre dirlo, finisce per trasformare la narrazione in un libro quasi storico-antologico. In questo senso il Finzi si attarda a parlare dettagliatamente di alimentazione, del ruolo dei cereali e della crusca, dell’agricoltura biologica, per poi passare, di palo e in frasca, ad occuparsi dell’Associazione Italiana Donatori di Organi, degli handicappati (oggi ri-definiti come “diversamente abili”), delle manifestazioni davanti ai supermercati in cui l’ANB si era impegnata a suo tempo contro l’uso dei coloranti per uso alimentare.
Sempre proseguendo sulla falsariga del racconto storico-antologico, il Finzi parla poi del naturismo e del suo rapporto con la società, del naturismo e la crisi economica, dello sviluppo e delle scelte del capitale, della bisessualità presente in ognuno di noi, degli ex carcerati, dello yoga, della moda, dello “spirito della Resistenza”, della degradazione dell’ambiente umano, delle feste popolari, delle vacanze, delle centrali nucleari e delle energie alternative, della vivisezione, dello zucchero raffinato perché fonte di malattie, del riciclaggio della carta, del tiro al piccione, dei cuccioli di foca, dell’eliminazione degli zoo,dell’abolizione della caccia, ecc..
Ebbene, si tratta di cose tutte lodevoli e giuste, su cui non abbiamo nulla da eccepire, ricordiamo soltanto che fare rientrare tutto in un unico calderone è un’operazione oltremodo dispersiva che a volte esula dal contesto naturismo, vedi lo “spirito della Resistenza”, gli ex carcerati, le feste popolari, ecc.
Nel capitolo “Naturismo lezione di purezza” sono invece ottime le riflessioni sulla nudità e le sua correlazione con l’erotismo, sulla donna e del suo è il capitolo “Naturismo: alternativa di cultura e di vita”, in cui vengono approfonditi temi come il “Nudismo come condizione di autenticità”, “Un diverso rapporto con gli alimenti”, “L’ambiente è patrimonio collettivo” . Mentre nel capitolo “Abbiamo bisogno di una base ideologica” si parla della nascita del naturismo, dopo una digressione sul nudo col metodo della “sociologia storica”, considerando il fatto, come dice l’autore, che la sua nascita è avvenuta in epoca anti-romantica dopo la riscoperta del corpo: da queste premesse il naturismo “muove guerra ai falsi tabù sessuali e agli erronei pudori”.
Premettendo che non si può non condividere tutto ciò, eccepiamo solo due cose: primo, attenzione al pericolo della trasformazione dell’idea naturista in una ideologia, perché questo, insieme ad altre concause che qui non il caso di elencare, ha procurato all’umanità il disastro di due guerre mondiali; secondo, attenzione anche a quanto espresso da Marcello Pieruccini, perché, secondo la sua idea, “conta solo quando chiunque e dovunque può andare nudo come gli pare e piace in mezzo alla gente che veste come vuole, senza per questo essere avviato al carcere o al manicomio” (come il movimento naturista continua a ripetere ci sono delle limitazioni a questa pratica che sono dettate principalmente da motivi professionali e igienici).
Nell’ultima parte il libro si occupa dell’Associazione Araba Fenice (come dice il nome sorta sulle ceneri dell’ANB) il cui allargamento a molteplici discipline si farà così ampio da creare notevoli difficoltà alla gestione del Centro Naturista come associazione, tanto che diventerà, in un primo tempo, L’Araba s.r.l., e successivamente Centro Natura s.r.l. Alla fine, dopo varie vicissitudini, rimarranno soltanto una zona relax e la sauna come unico spazio nudo-naturista.
A questo proposito, a sostegno di quanto abbiamo fatto rilevare sulla dispersione dovuta alla miscellanea di discipline programmate, l’autore scrive: “E’ evidente il passo indietro rispetto all’etica e alla prassi naturista con le quali è incompatibile la separazione di genere, che avalla, di fatto, l’ancora diffuso tabù del nudo (nudità ammissibile tra persone delle stesso sesso, esclusa tra persone di sesso opposto).
Il naturismo, come ampiamente dimostrato nei fatti, non è solo nudismo, ma non può escluderlo. Insomma, dopo tanti anni, un pezzetto non trascurabile di naturismo, nella sua valenza olistica, di cui il nudismo è parte integrante, malinconicamente scompare”. Senza dilungarci oltre, e per concludere, quello che possiamo dire è che si tratta di una lettura molto interessante (interessante perché racconta un pezzo di storia del naturismo italiano), che è anche un documento che dimostra quello che il naturismo non deve fare, pena la sua “malinconica scomparsa”.

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