A tu per tu col gabbiano (cronache estive)
Erano ormai una decina d’anni che non andavo in vacanza con la famiglia in un centro naturista. Durante tutto questo lungo periodo avevo solo accompagnato mio marito che doveva ottemperare agli impegni federali con puntate di un giorno o due. Venti giorni consecutivi di ferie sono però un’altra cosa.
Si ha tempo per pensare, per osservare, per riflettere su dettagli e situazioni che di volta in volta si presentano ai nostri occhi mentre ce ne stiamo sdraiati al sole godendoci i giorni che, come dice la canzone, “passano pigri e lasciano in bocca il gusto del sale”.
Ebbene, a distanza di dieci anni (un periodo durante il quale la realtà subisce notevoli modificazioni) due cose mi hanno colpito: primo, l’invasione pacifica e globale dei gabbiani, che stazionano davanti ai bungalow come tranquilli piccioni; secondo, “l’invasione” altrettanto pacifica e altrettanto globale dei nudisti che durante la stagione estiva affollano il centro naturista. In relazione al primo punto, ricordo che una ventina di anni fa circa, quando per la prima volta ero stata a Valalta, quasi non mi ero accorta della presenza dei gabbiani. C’erano, ma si limitavano a pattugliare le sponde oppure a starsene abbarbicati su rocce sporgenti dall’acqua.
Ogni tanto si levavano in volo, planavano sull’acqua e afferrano un pesce, poi si posavano di nuovo per cibarsene in santa pace. Ricordo che rimanevo sempre meravigliata da quella perfetta macchina da pesca progettata dalla natura.
Adesso però mi stavo accorgendo, nell’osservare questa nuova generazione di gabbiani, che questi erano per così dire diventati “terrestri” dato che la loro giornata ormai si svolgeva quasi completamente a terra stazionando davanti ai bungalow, o davanti alle tende o nei pressi delle persone stese al sole in attesa di cibo, esattamente come i piccioni che ormai hanno invaso le nostre città.
C’è soltanto d’aggiungere, per dovere di cronaca, che qualcuno di questi volatili, dimostrando un’intraprendenza superiore alla media, esattamente come accade per la specie umana, arrivavano al punto da tentare di ghermire il cibo direttamente dal piatto dei commensali seduti ai ristoranti della spiaggia.
E non era raro assistere a furibonde liti fra gabbiani per contendersi del pane o del salame contenuti in sacchetti di plastica “rapinati” a nudisti allontanatisi dai lettini per fare il bagno.
E quando poi le persone se ne andavano, perché la loro giornata di sole e di mare era finita, questi gabbiani si impossessavano di tutti gli spazi liberi in attesa del mattino successivo per iniziare la loro paziente e ostinata attesa. Insomma, si può dire che i gabbiani di Valalta sono ormai diventati una specie “mutante” di pennuti.
Ma ciò accade, come ci è stato detto, per tutti i gabbiani che frequentano i campeggi (tessili e non), i villaggi e i centri naturisti della costa slovena e croata.
Che dire a commento: si può dire che non si può non costatare, se ancora se ce ne fosse bisogno, quando forte sia l’impatto antropico sull’ambiente e di conseguenza il condizionamento umano sul comportamento di una specie animale.
E qui non c’entra il rispetto per la natura, perché, da che mondo è mondo gli insediamenti umani hanno sempre avuto bisogno dell’acqua per vivere, che sia di fiume, di lago o di mare. Il secondo punto, il pienone di nudisti italiani e stranieri del centro naturista di Valalta (ma ho saputo che tutti i campeggi e i villaggi naturisti della Croazia hanno fatto il pieno) mi ha permesso di fare due considerazioni. La prima considerazione riguarda l’ottusa cecità dei governanti italiani che per non legiferare sulla materia naturismo (e i motivi sono diversi, a mio parere però tutti superabili) si lasciano sfuggire un affare di miliardi di euro.
E tutti sanno quanto il nostro turismo ne avrebbe bisogno, anche perché nei centri naturisti “chiusi” da una sbarra o da un cancello non si viene disturbati dai vu cumprà. E giacché tutti ormai non ne possono più di questa piaga e di tutto il resto che ha ormai invaso le nostre spiagge, si può affermare che il fatto di non essere “disturbati” non è cosa di poco conto. La seconda considerazione riguarda il problema della cosiddetta “crisi” del naturismo italiano (che però dalle pagine di questa rivista è stato più volte chiarito trattarsi di crisi del tesseramento e non del naturismo, un problema questo che comunque è da considerarsi legato alla crisi dell’associazionismo in genere).
Ebbene, da quanto premesso e preso atto dell’affollamento dei centri naturisti croati (ho fatto con mio marito e mio figlio una visitina anche a Koversada), sono stata lieta di constatare che effettivamente questa crisi non c’è: primo, perché il numero di italiani che praticano il nudismo è veramente grande (si stimano in mezzo milione, ma l’impressione è che siano molti più); secondo, perché visti i modi e le forme con cui viene praticato il nudismo, il pericolo che i centri naturisti diventino un ibrido di nudismo/tessilismo sembra allontanarsi.
E questo lo dico perché ho potuto constatare che i naturisti si vestono soltanto quando vi è un effettivo bisogno e non per non essere riusciti a vincere l’ancestrale tabù del nudo, fatte salve le solite eccezioni, ovviamente, che questa estate si sono dimostrate essere veramente poche.
Ebbene, a distanza di dieci anni (un periodo durante il quale la realtà subisce notevoli modificazioni) due cose mi hanno colpito: primo, l’invasione pacifica e globale dei gabbiani, che stazionano davanti ai bungalow come tranquilli piccioni; secondo, “l’invasione” altrettanto pacifica e altrettanto globale dei nudisti che durante la stagione estiva affollano il centro naturista. In relazione al primo punto, ricordo che una ventina di anni fa circa, quando per la prima volta ero stata a Valalta, quasi non mi ero accorta della presenza dei gabbiani. C’erano, ma si limitavano a pattugliare le sponde oppure a starsene abbarbicati su rocce sporgenti dall’acqua.
Ogni tanto si levavano in volo, planavano sull’acqua e afferrano un pesce, poi si posavano di nuovo per cibarsene in santa pace. Ricordo che rimanevo sempre meravigliata da quella perfetta macchina da pesca progettata dalla natura.
Adesso però mi stavo accorgendo, nell’osservare questa nuova generazione di gabbiani, che questi erano per così dire diventati “terrestri” dato che la loro giornata ormai si svolgeva quasi completamente a terra stazionando davanti ai bungalow, o davanti alle tende o nei pressi delle persone stese al sole in attesa di cibo, esattamente come i piccioni che ormai hanno invaso le nostre città.
C’è soltanto d’aggiungere, per dovere di cronaca, che qualcuno di questi volatili, dimostrando un’intraprendenza superiore alla media, esattamente come accade per la specie umana, arrivavano al punto da tentare di ghermire il cibo direttamente dal piatto dei commensali seduti ai ristoranti della spiaggia.
E non era raro assistere a furibonde liti fra gabbiani per contendersi del pane o del salame contenuti in sacchetti di plastica “rapinati” a nudisti allontanatisi dai lettini per fare il bagno.
E quando poi le persone se ne andavano, perché la loro giornata di sole e di mare era finita, questi gabbiani si impossessavano di tutti gli spazi liberi in attesa del mattino successivo per iniziare la loro paziente e ostinata attesa. Insomma, si può dire che i gabbiani di Valalta sono ormai diventati una specie “mutante” di pennuti.
Ma ciò accade, come ci è stato detto, per tutti i gabbiani che frequentano i campeggi (tessili e non), i villaggi e i centri naturisti della costa slovena e croata.
Che dire a commento: si può dire che non si può non costatare, se ancora se ce ne fosse bisogno, quando forte sia l’impatto antropico sull’ambiente e di conseguenza il condizionamento umano sul comportamento di una specie animale.
E qui non c’entra il rispetto per la natura, perché, da che mondo è mondo gli insediamenti umani hanno sempre avuto bisogno dell’acqua per vivere, che sia di fiume, di lago o di mare. Il secondo punto, il pienone di nudisti italiani e stranieri del centro naturista di Valalta (ma ho saputo che tutti i campeggi e i villaggi naturisti della Croazia hanno fatto il pieno) mi ha permesso di fare due considerazioni. La prima considerazione riguarda l’ottusa cecità dei governanti italiani che per non legiferare sulla materia naturismo (e i motivi sono diversi, a mio parere però tutti superabili) si lasciano sfuggire un affare di miliardi di euro.
E tutti sanno quanto il nostro turismo ne avrebbe bisogno, anche perché nei centri naturisti “chiusi” da una sbarra o da un cancello non si viene disturbati dai vu cumprà. E giacché tutti ormai non ne possono più di questa piaga e di tutto il resto che ha ormai invaso le nostre spiagge, si può affermare che il fatto di non essere “disturbati” non è cosa di poco conto. La seconda considerazione riguarda il problema della cosiddetta “crisi” del naturismo italiano (che però dalle pagine di questa rivista è stato più volte chiarito trattarsi di crisi del tesseramento e non del naturismo, un problema questo che comunque è da considerarsi legato alla crisi dell’associazionismo in genere).
Ebbene, da quanto premesso e preso atto dell’affollamento dei centri naturisti croati (ho fatto con mio marito e mio figlio una visitina anche a Koversada), sono stata lieta di constatare che effettivamente questa crisi non c’è: primo, perché il numero di italiani che praticano il nudismo è veramente grande (si stimano in mezzo milione, ma l’impressione è che siano molti più); secondo, perché visti i modi e le forme con cui viene praticato il nudismo, il pericolo che i centri naturisti diventino un ibrido di nudismo/tessilismo sembra allontanarsi.
E questo lo dico perché ho potuto constatare che i naturisti si vestono soltanto quando vi è un effettivo bisogno e non per non essere riusciti a vincere l’ancestrale tabù del nudo, fatte salve le solite eccezioni, ovviamente, che questa estate si sono dimostrate essere veramente poche.